Il titolo dell’ultimo film di Daniele Luchetti, “Anni felici”, cela l’amaro giudizio per una storia famigliare contrastata, che il regista coglie in tutta la sua contradditoria vitalità. Nell’anno del referendum sul divorzio (1974), l’Italia si condensa tra le quattro mura di una casa romana in preda al fervore dei tempi, tra aspirazioni artistiche d’avanguardia, comodità piccolo borghesi, istanze femministe e amore libero. Guido è un padre sui generis, pittore e scultore, elettosi rappresentante dell’arte concettuale più che altro per adesione alla moda del periodo. La moglie Serena, figlia benestante di solidi commercianti della piccola borghesia cittadina, è una donna semplice, attraversata però da una profonda inquietudine che la porterà dall’amore devoto verso un marito libertino, alla scoperta del femminismo come riscatto del sé e come esperienza di un sentimento amoroso diverso. Un racconto autobiografico intimo e struggente, ma anche colorato e trasgressivo, filtrato dalla memoria emotiva del regista che all’epoca aveva solo 10 anni.