Il film del regista Abderrahmane Sissako, uno dei maestri del cinema africano, è un susseguirsi di sequenze dove la tensione pervade ogni fotogramma. Siamo a “Timbuktu”, storica e antica città del Mali. La popolazione è in balia di un gruppo jihadista che ha imposto divieti asurdi: non si fuma, non si canta, non si ascolta la musica, non ci si siede davanti casa e non si gioca a calcio, ecc. La trama portante segue la vicenda del pastore tuareg Kidane, della moglie e della figlia. La loro vita è fatta di piccoli gesti e attività quotidiane, in un susseguirsi delle giornate regolate dal tempo naturale. Kidane decide di non fuggire, come hanno fatto altri, ma di rimanere, confidando che gli jihadisti prima o poi se ne andranno. Sullo sviluppo delle dinamiche di questi tre personaggi - che porteranno al confronto di Kidane con il tribunale islamico e alla sua drammatica fine - Sissako innesta una serie di sotto trame secondarie, creando un struttura narrativa di voci individuali, in un film di disperata bellezza, equilibrato sul piano formale e straziante sul piano emotivo. Da vedere.