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ORFEO ED EURIDICE

di Christoph Willibald Gluck

ORFEO ED EURIDICE

di Christoph Willibald Gluck

14 Luglio 2019 | 21.20
Teatro Remondini,
Bassano del Grappa
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Prezzo: intero € 20 ridotto € 16


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E’ il capolavoro di Gluck, ed è l’opera che nel ‘700 rivoluzionò il teatro musicale. Capace di conquistare anche oggi, per come esalta l’umanità dei protagonisti e la forza del loro sentimento.
Musica di Christoph Willibald Gluck su libretto di Ranieri de’ Calzabigi in coproduzione con la Stagione Lirica del Comune di Padova personaggi e interpreti Orfeo Laura Polverelli Euridice Michela Antenucci Amore Veronica Granatiero maestro concertatore e direttore d’orchestra Marco Angius Orchestra di Padova e del Veneto coro Iris Ensemble maestro del coro Marina Malavasi danzatori Compagnia Lubbert Das coreografie Nicoletta Cabassi

La moltiplicazione delle versioni dell’Orfeo ed Euridice di Gluck, dopo la prima viennese del 1762, costituisce un caso a sé nella storia del teatro d’opera e in particolare del teatro musicale: si tratta infatti di un’azione teatrale in tre atti che migra in varie città d’Europa cambiando ogni volta forma e sostanza con l’approvazione del compositore stesso. L’opera continuerà a essere rimaneggiata anche dopo la morte di Gluck fino alla fine dell’800: si pensi, ad esempio, all’elaborazione di Berlioz (1859) o a quella quasi simultanea diretta da Franz Liszt a Weimar nel 1854, con un prologo e un epilogo appositamente ideati. Il primo diventerà l’Orpheus, quarto dei tredici poemi sinfonici, e in questa veste si è pensato d’inserirlo al posto dell’ouverture originale dell’Orfeo. Gli innesti di opere altrui erano comuni fin dall’epoca di Gluck vista la particolare brevità della rappresentazione (90’ circa) e la sua struttura modulare: facendo riferimento a questa prassi consolidata, si è quindi inserita la nota Danza delle Furie del coevo balletto Don Juan (1761) subito dopo la prima scena del secondo atto, quando Orfeo trionfa sugli spiriti infernali grazie alla sua arte canora. Quando Orfeo tenta di suicidarsi di fronte alla seconda morte d’Euridice, fermato in extremis da un Amore sornione e manipolatore, ci sembra d’intravvedere la crisi in cui piomba l’arte, ormai incapace di salvare o anche solo cambiare l’umanità: si è così immaginato che Orfeo provi a riac- cordare ancora una volta la sua arpa/lira magica con cui aveva ammansito le belve infernali ma lo strumento s’inceppa, le corde saltano e invece delle armonie incantatorie sentiamo risuonare la seconda Sequenza di Berio (1963), grande estimatore dell’Orfeo monteverdiano insieme a Respighi (1934) e Maderna (1967). I primi due atti vedono unico protagonista Orfeo -in particolare il secondo- se si eccettua la breve sortita del dispettoso Amore (che fa da pendant a quella ex machina del Finale). Chi e cos’è invece Euridice? Un’entità sospesa e confinata ai limiti della notte. La incontriamo solo nel terzo atto e solo in due recitativi con Orfeo, un duetto e un’aria preceduta a sua volta da un altro recitativo dal carattere introspettivo in cui prende coscienza del suo stato di non-più-morta e non-più-viva. Il suo arrivo viene annunciato due volte dal coro alla fine del secondo atto, alternato a due strofe («Vieni a’ regni del riposo») con progressioni cromatiche e una scrittura vocale che anticipano le più alte vette brahmsiane. Se nel primo atto Orfeo la invocava ottenendo solo echi di una seconda orchestra in lontananza, simulazione di una profondità prospettica affatto iperrealistica, all’inizio del terzo Euridice è poco più che un’ombra: pone domande che non possono avere risposta e tocca la soglia della realtà solo nel battibecco coniugale con Orfeo (il quale riesce appena a balbettare qualche espressione di circostanza). Né noi né Orfeo sapremo mai se Euridice risorgerà o se invece si tratta solo dell’ennesimo gioco beffardo degli dèi, non potendo essere restituita alla luce se non per una collaudata convenzione teatrale. Idem est nox apud Orpheum...