Poeta è colui che riesce a vedere oltre la pellicola del quotidiano, al di là di quel velo di apparente sicurezza con cui si manifesta alla maggior parte degli uomini. La superficie è sottile, basterebbe poco a penetrarla per cogliere associazioni inedite e visioni di un Altrove a tratti luminoso, a tratti terrificante; eppure ci riescono in pochi, ancora meno sono quelli che, rientrando dal viaggio, riescono a portare in questo al di qua condiviso qualche souvenir della loro permanenza e a condividerla con gli altri, spesso restando inascoltati; peggio ancora, incompresi. Alda Merini è poetessa vera, profeta di quell’oltre che è stato anche, a volte, la sua dannazione. Se così si può definire l’operazione poetica, allora forse poeta è l’artista in generale: è quindi un atto di arte e di poesia – oltre che un atto d’amore - questo spettacolo in forma ibrida, una sorta di cabaret musicale d’altri tempi in cui associazioni libere di parole, musica, paesaggio dialogano con le visioni della poetessa “nata il 21 a primavera” e le sue contraddizioni e inquietudini emotive. La collaborazione ben rodata tra la regia e la voce di Vasco Mirandola e le musiche di Bottega Baltazar si dimostra ancora una volta una combinazione vincente e sembra trovare qui il suo habitat naturale nell’atmosfera immobile e sospesa delle rive del Brenta.